00 05/07/2020 05:51
19 febbraio 2012: Lazio di scena al “Barbera” di Palermo con parecchi assenti e una difesa decimata, che Reja puntella improvvisando Ledesma in terza linea.
L’argentino, nell’inedito ruolo, non se la cava neppure malaccio: ma a incidere è la sua assenza davanti al reparto arretrato, che apre una voragine. Finisce 5-1 per i rosanero.
Ieri sera è accaduto qualcosa di simile con lo spostamento di Luis Alberto dal centrocampo in una posizione maggiormente avanzata: prova modestissima, in linea con un momento non proprio felice, ma il vero problema è venuto dal dissesto della mediana di cui è da tempo il faro.

Il carico da undici su una situazione già al limite l’ha messo Inzaghi, prontamente rientrato nei ranghi quando toccava a lui aggiungere davvero qualcosa.
Luis Alberto che lancia Correa non è una situazione del tutto inedita, anche se occorreva adattarla a una posizione e a un contesto diversi dal solito.
Operazione rimasta nelle buone intenzioni, coi due che hanno vagato per il campo come anime in pena senza la minima idea di come muoversi e cercarsi.
E le condizioni dell’argentino, un autentico fantasma dopo la sosta, c’entrano meno rispetto alla totale mancanza di organizzazione offensiva.

Sia i giocatori citati sia il tecnico sembrano inseguiti, come se si trattasse di un’ombra, dai difetti, dalle lacune, dai lati oscuri che hanno mostrato negli stenti iniziali o nei momenti peggiori.
Un’ombra che si riappropria improvvisamente delle loro prestazioni, facendo svanire da un attimo all’altro progressi e percorsi di formazione che apparivano ormai consolidati.

Per non parlare, tornando alle nefandezze di giornata di Inzaghi, della trovata di schierare il capitano non giocatore Parolo sul centro-sinistra: vale a dire laddove la squadra è stabilmente abituata ad attendersi la trazione anteriore, sia sul piano della qualità sia su quello del baricentro.
Schierare l’elemento più difensivo da quella parte ha spontaneamente risucchiato in avanti Milinković-Savić, facendo saltare equilibri e distanze sul lato opposto.
Non è un caso se a risentirne sia stato Patric, che ha interrotto con una clamorosa imbarcata un filotto di prestazioni confortanti: e non tanto per colpe proprie quanto perché privato, da una partita all’altra, dei riferimenti di squadra da cui non è ancora in grado di prescindere.

Avviata su questi binari e contro un Milan superiore alle attese, la partita è mestamente rotolata verso l’inevitabile lasciando in dote un trattatello sulla malasorte.

È sfortuna, o peggio, che un arbitro fulmini il centravanti titolare e sotto diffida con un’ammonizione chirurgica quanto inventata.
Non è sfortuna allestire un organico con un solo giocatore nel ruolo.
È sfortuna ritrovarsi infortuni in serie, e di non immediata risoluzione, in questa fase della stagione.
Non è sfortuna la loro contestualizzazione in una situazione di gruppo che alla ripresa, sotto il profilo della condizione fisica, colloca la Lazio in ventunesima posizione su venti partecipanti: e il lockdown, fino a prova contraria, c’è stato per tutti.
È sfortuna che il tiro di Çalhanoğlu incocci nella deviazione di Parolo, quasi una nemesi per il gol di Torino.
Non è sfortuna che Strakosha parta con quella mezz’oretta di ritardo su una parabola comunque resistibile.
È sfortuna che il rigore di Ibra scivoli proprio nella direzione meno indicata.
Non è sfortuna che l’estremo difensore – bravissimo nell’intuire il tiro – vi arrivi con una mano molle, destinata a essere piegata anche da una conclusione più debole, per un evidente errore di impostazione tecnica.
Come non è sfortuna avere un serio problema fra i pali e raccontarsi di poter contare su un portiere fra i migliori del campionato (di quale Paese?).
È sfortuna, o peggio, se il killer armato di fischietto assegna un rigore morbosamente antiregolamentare con distanza ravvicinata, difendente girato di spalle e braccio attaccato al corpo.
Non è sfortuna se l’unica reazione alle immancabili sevizie arbitrali sono i comunicati di Diaconale, i testi scritti più inutili dai Sumeri in poi.

Elenco che potrebbe continuare se il concetto non fosse già chiaro: la posizione in classifica, per il momento parecchio superiore alle attese, non cancella errori, omissioni, scelte deliberatamente illogiche, mille cose che potevano essere fatte meglio anche coi mezzi a disposizione.
Dimenticando le quali, per attribuire ogni problema a interventi esterni o al destino cinico e baro, si rischia di somigliare all’Alberto Sordi di a me m’ha rovinato ‘a guèra.
Personaggio che, con tutto l’affetto per l’attore, non rappresenta la quintessenza della lazialità.