00 25/06/2020 21:02
Risposta breve: la Lazio ha dominato finché ne aveva sul piano atletico ed è sparita quando non ne aveva più.
E, pur considerando comprensibili i limiti fisici dopo un periodo così “particolare”, rimarrebbe da spiegare perché nessuna fra le squadre scese in campo si sia presentata in condizioni così disastrose.

Risposta lunga: pur considerando quanto sopra come il filo conduttore per l’andamento della partita, rimangono aperte alcune questioni:


1) la plateale, eterna, patologica mancanza di un piano B.
La Lazio incanta e domina quando 5-6 ottimi giocatori girano al massimo e si trovano fra di loro.
Mancando almeno in parte queste condizioni l’undici biancoceleste non si limita a calare: sparisce del tutto, abbandonando a sé stessi uomini che vagano per il campo senza sapere cosa fare con e senza palla.
Una commutazione acceso/spento, neanche si trattasse di un interruttore, senza modalità intermedie

2) L’altrettanto grave mancanza delle doti accessorie su cui ripiegare quando la parte squisitamente tecnica non gira: mestiere, esperienza, un pizzico di malizia.
Non si parla di esplicito ostruzionismo o condotte antisportive: ma cercare di tenere palla, anziché trattarla come una patata bollente, o prendere falli per spezzare il ritmo avversario rientrano nelle competenze di un giocatore professionista quanto il saper usare i piedi.
Invece si è visto il solito gruppo di bravi bambini con la mentalità da compitino, come se la Lazio l’allenasse ancora Pioli.
Gente per la quale in campo ci si limita a giocare a calcio più o meno bene e alla fine si dà la mano all'avversario, ignorando completamente quel surplus di personalità e magari di carogneria senza il quale si rimane mezzi giocatori a vita

3) L’ancor più inaccettabile mancanza di sintonia col clima agonistico della partita, che il tecnico dei bergamaschi aveva preparato per mesi alla su(in)a maniera.
Trasmettendo ai suoi l’approccio mentale di una gara da vincere a tutti i costi.
Lasciando tracce sul piano del gioco ma anche, all’occorrenza, sulle caviglie degli avversari.
Per dirla con una classica formula di chiusura di Luigi Necco, “l’Atalanta chiama, la Lazio non risponde”.
Cos’è rimasto, nell’atteggiamento dei nostri, di tutto il letame sparso negli ultimi tempi? Assolutamente nulla.
Per loro era “una partita come le altre”, vale a dire la definizione con cui il boemo lanciava il derby prima di perderlo.
Una (non) squadra spumeggiante quando le cose vanno bene, con l’amor proprio di un cane morto non appena si deraglia da quel binario.
E, francamente, identificarsi in questo vuoto di orgoglio, di personalità, financo di dignità è sempre più difficile

4) La mancanza, anche qui semicronica, di una conduzione tecnica.
Difficile distribuire le colpe fra panchina e staff atletico per l’indecente condizione fisica, che comunque dovrebbe far tremare un po’ di poltrone e stipendi.
Difficile identificare altre responsabilità per una preparazione e una gestione della gara al limite del criminoso.
I casi sono due: o uno non si rende conto di schierare un gruppo con trenta minuti di autonomia; oppure se ne rende conto e parte lo stesso a razzo, anziché centellinare le forze. In entrambe le ipotesi, una situazione indifendibile a priori.
Peggio ancora, se possibile, la tempistica dei cambi: prima rinviati all’infinito, quando in tanti già boccheggiavano; poi sparati a raffica, disarticolando definitivamente un assetto di squadra già in grave difficoltà.
Senza contare l’assenza del piano B di cui al punto 1), e della quale è problematico attribuire le responsabilità alla sosta forzata o alle condizioni meteo


Bilancio di una serata catastrofica anche, per la serie oltre al danno la beffa, nella quasi contemporaneità fra le ultime segnature dei padroni di casa e quelle di Geco all’Olimpico?
Intanto la classifica avulsa nei confronti dell’Atalanta, sperando di non dovervi fare ricorso.
E poi il rischio che la bolla-scudetto, inaugurata con la clamorosa rimonta dell’andata, possa essersi sgonfiata contro lo stesso avversario.
Non smettiamo di guardarci alle spalle, e mettiamo quanto prima fieno in cascina per l’obiettivo minimo stagionale.
Si dirà: tifosi che si trovano al secondo posto e pensano al quarto? Purtroppo sì.
Perché, se non si recuperano uomini e condizione (sul carattere meglio metterci una pietra sopra), quel che è emerso ieri sera è roba da Verona di Malesani.