Da un punto di vista fenomenologico, le mie esultanze si caratterizzano per un urlo belluino, innaturale, dato da uno strappo violento a livello fonoarticolatorio e cardiaco con l'accompagnamento di movimenti altrettanto esplosivi, convulsi e inarticolati.
Le tre più pericolose per la mia incolumità:
TERZO POSTO: il gol di Fiorini, emozione vissuta alla radio (sì, i transistor di allora con mini-auricolare), durante una festa di compleanno (il festeggiato era un amico e mi conosceva, quindi si aspettava qualcosa del genere da parte mia) e con un'intensità dovuta anche al contesto.
Abitavo molto lontano da Roma e circondato da tifosi strisciati, che ovviamente neppure comprendevano cosa stesse succedendo: per quello la sentivo come una cosa speciale, solo mia, che solo io potevo capire.
Molto del mio rapporto con la Lazio risente di un imprinting concettualmente simile maturato in quegli anni.
Il rischio: per le corde vocali.
Oltre che per un ricovero d'urgenza, data l'assoluta impossibilità per gli astanti di spiegare razionalmente il mio comportamento.
SECONDO POSTO: la coproduzione Mihajlović/Di Cara a Vicenza nel pluricitato 1998/'99.
Per qualche motivo, mi ero fissato con l'idea che quella partita rappresentasse una cartina di tornasole.
Di quelle che se le vinci allora è davvero il tuo anno, quando quel qualcosa in più gira nel verso giusto e finisce col fare la differenza.
Orecchio incollato anche qui, con uno yo-yo emotivo fra l'esaltazione e la disperazione al limite del sostenibile.
Il rischio: per l'apparato cardiocircolatorio.
Dopo quella gara decisi di non seguire mai più una diretta radiofonica integrale della Lazio: con l'angoscia supplementare dettata dalla mancanza di riscontri visivi, rischiavo davvero troppo.
PRIMO POSTO: il gol dell'allora parmense Crespo, senza il quale non sarebbe bastato battere il Bologna per trascorrere in testa alla classifica la domenica del Centenario.
Quel pari, proprio perché fra i più immeritati e rocamboleschi cui mi sia capitato di assistere, aveva tutta l'aria di un segno del destino. Per me la giornata, in termini di pathos per il il risultato, era finita lì.
Tant'è che seguii la gara coi felsinei un po' scarico sul piano nervoso, un po' tranquillo per i tre punti.
Volevo godermi la festa: il resto, nelle mie sensazioni, sarebbe venuto da solo.
Il rischio: per l'incolumità fisica, dato che il bowling in cui seguii quella partita traboccava di juventini.
Non successe nulla, anche perché l'esaltazione satanica in cui vivevamo le partite sovvertiva qualsiasi proporzione numerica.
Ricordo il titolare di un altro locale fra l'ammirato e l'inorridito per i boati inumani che accompagnavano i gol biancocelesti.
Quando poi si giocava in contemporanea, e a dispetto della presenza in forze di bianconeri e di tifosi delle due partenopee, anche in 4-5 persone contate riuscivamo a "coprirli" sul piano del sonoro.
Non successe nulla, dicevo, perché venti contro uno optavano per più miti consigli solo guardandoci in faccia.
Avevamo gli occhi fuori dalla testa, nel senso letterale del termine.
Nota a margine: sono fra i pochi a non ricordare come un incubo il gol di Ganz.
Questione di un modo mio di vedere il calcio: i fatti puramente tecnici, per quanto beffardamente atroci e anti-meritocratici, fanno parte del gioco.
Ero preoccupato ma interiormente sereno dopo il rigore di Floccari, tanto per capirci.
A farmi perdere il controllo sono altri fattori: Turci che si scansa, Treossi a Firenze, Trentalange in Bologna-Sampdoria per garantire combinazioni di risultati a orologeria nella zona salvezza, porcherie di questo genere.
Per rispondere a Boks XV: cosa potrà cancellare quelle cicatrici?
Nulla, a mio avviso, e men che mai una qualsiasi vittoria.
Neppure l'assegnazione a tavolino di quello scudetto, col contestuale scioglimento a tavolino del club rossonero, ci restituirebbe ciò che ci è stato rubato in quella stagione: non un titolo, per quanto strameritato, esaltante e piuttosto solitario in bacheca.
No, ci hanno rubato un pilastro e al tempo stesso una chiave di lettura della memoria, di quelli su cui si organizza il racconto della propria esistenza di tifosi e non.
Ci hanno rubato una parte della nostra vita, ecco il punto.
E a rigirare il coltello nella piaga è il mancato riconoscimento - mi verrebbe da chiamarlo negazionismo - di quei torti in sede di narrazione.
Parlate con chiunque si interessi un minimo di calcio: tutti ricordano la doppietta gol di Bianconi- rigore Iuliano-Ronaldo, e a ragione perché si trattò di un vero scandalo.
Quando il discorso passa alla stagione successiva, la spiegazione corrente è che ci siamo suicidati da soli perdendo il derby e tutto il resto: liquidando la documentazione, anche puntuale, dei fatti a vittimismo di parte.
È il motivo per cui evito il discorso con un pubblico non adatto: a distanza di quindici anni, rischierei ancora di venire alle mani.
[Modificato da Er Matador 01/12/2014 18:30]