La versione di Zoff

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Mark Lenders (ML)
00venerdì 19 settembre 2014 18:58
Leggiamo ogni giorno tanta monnezza, "interviste" a gente che non vale niente e che non dice niente. Qui invece c'è Dino Zoff che dice "ho vinto qualche coppa ma come campione ho fallito, ho solo remato controvento per quarant'anni". La sua autobiografia (Dura solo un attimo, la gloria) è un libro che voglio leggere.


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Zoff contro i padroni del calcio italiano: "Respinto con violenza, oggi rido se mi chiamano saggio"

“E accadde l’inevitabile. Il mondo del calcio non mi perdonò quella mossa. E mi fece fuori. In un primo momento il telefono continuava a squillare. Mi piovevano addosso complimenti di ogni sorta, quelli autentici e sentiti di quanti avevano capito il senso della mia decisione, e quelli un po’ ipocriti di chi ci aveva voluto leggere un significato politico. Poi, piano piano, i complimenti lasciarono spazio al silenzio. E mi resi conto che ciò che avevo previsto si stava lentamente realizzando: il mondo del calcio, il mio mondo, mi stava respingendo come un corpo estraneo. Avevo fatto qualcosa di imperdonabile, di non previsto dal codice non scritto che regola la vita del pallone. Quello che in gergo chiamiamo l''ambiente’ è pronto a perdonare qualsiasi reato, colpa o vizio, a patto, però, che tutto rimanga ‘all’interno’, che tutto venga processato e metabolizzato dai suoi ‘organi interni’. Puoi corrompere arbitri, vendere partite, insultare, picchiare, commettere qualunque nefandezza, ma finché ti dimostrerai pronto a restare all’interno del sistema, finché sarai disposto a celebrare i suoi riti. Allora potrai contare sull’assoluzione o, quantomeno, sulla clemenza della corte. E un posto per te, da qualche parte, in qualche commissione, in qualche anfratto della macchina burocratica che tutto sostiene, si troverà sempre. Appena, però, qualcuno rompe lo schema e si ribella, fosse anche solo per difendere la propria dignità, allora viene rapidamente espulso, e con violenza”. Parole sentite, ragionate e per questo ancor più sofferte. Dino Zoff scopre le carte, raccontando il suo allontanamento dal mondo del calcio dopo l’Europeo del 2000, quello di BelgiOlanda. Le polemiche con Berlusconi e l'allontanamento forzato, un accantonamento di una figura quasi istituzionale. Un’emarginazione sopportata a lungo in silenzio. Fino all’uscita, odierna, della autobiografia del Dino nazionale. L’ex allenatore e presidente biancoceleste presenterà la propria autobiografia – edita da Mondadori - domenica alle 12, in occasione di ‘Pordenonelegge’, dialogando col premio Strega Francesco Piccolo.

Di seguito altri passaggi dello scritto, presenti in anteprima nell’edizione di oggi di Repubblica. “… di colpo, risultavo ‘inaffidabile’ per il sistema. Zoff inaffidabile. Una specie di ossimoro, a pensarci bene. Perciò mi ritrovai, poco più che sessantenne, tagliato fuori da quella che pensavo fosse la mia vita. (...) A dire il vero, la storia delle dimissioni dalla Nazionale, il conflitto con Berlusconi e i berlusconiani e i giochi di potere dentro la Federazione furono solamente una delle cause della situazione in cui mi ero venuto a trovare. E sinceramente, credo, nemmeno la più rilevante. C’era un problema, come dire, antropologico, culturale, alla base della mia ‘espulsione’ dal mondo del calcio. Me ne sono accorto tardi, l’ho capito lentamente. (...) Gli insulti a Bearzot, i riconoscimenti postumi e tardivi a Scirea erano segnali chiari, che forse avrei dovuto cogliere prima in tutta la loro potenza. E invece... Oggi mi guardo intorno e ho l’impressione di non aver influito, di non aver cambiato niente, di aver remato controvento per quarant’anni. E basta. Mi dicono che sono entrato nella Storia, che sono un monumento. Mi viene da ridere. Parlano di coppe e di trionfi, ma quelli sono solo miei e dei miei compagni di squadra. come campione ho fallito la mia missione. La Storia è un’altra cosa, e i monumenti, quando non fanno una brutta fine per motivi politici, di solito finiscono per essere poco più che arredo urbano, habitat per piccioni, o cose del genere. La verità è che ho vinto qualche coppa, ho battuto molti record, ma non ho lasciato il segno, e il tempo si porterà via tutto, come una folata di vento in autunno spazza le foglie del parchetto sotto casa, dove adesso gioca a palla mio nipote. E mi viene da ridere anche quando mi chiamano ‘saggio’. Perché in quella parola — che a un certo punto avevano affibbiato anche a Bearzot, ovviamente dopo essere stati costretti a rimangiarsi quell’altra, ‘vecchio’, con cui lo sbeffeggiavano — c’è tutta l’ipocrisia del calcio e, per estensione, del Paese. Se per qualche motivo hai una storia non trascurabile, e però non sei un ‘personaggio’, non fai notizia, non strepiti cose bislacche, non sei funzionale a qualcuno, allora diventi un ‘saggio’. (...) Le ‘istituzioni’ ti invitano, quando se lo ricordano, a qualche cerimonia commemorativa, ma per lo più ti ignorano. Poi, quando invece ci sarebbe bisogno della tua ‘saggezza’, allora spariscono tutti. Perché, in realtà, è proprio la saggezza che gli fa paura. Penso a quello che è successo nel 2006 con Calciopoli. Uno degli scandali che ciclicamente scuotono il mondo calcistico e mettono in mostra quanto sbagliato sia il sistema. Avevano bisogno di un saggio — così dissero — per decidere cosa fare a proposito dell’assegnazione dello scudetto. Invece, fecero in modo di arruolare gente che tutto era fuorché saggia, benché così li chiamassero. Se avessero chiesto a me, glielo avrei detto in cinque minuti che non aveva senso assegnare lo scudetto all’Inter. Se il campionato era stato falsato, era falsato e basta. Come se non si fosse disputato. Ma a me nessuno ha chiesto niente. E i ‘saggi’ decisero che lo Scudetto andava assegnato all’Inter. Sarà un caso che da dieci anni quella decisione continua a far discutere? E i ‘saggi’ che ne dicono? Meglio non chiederglielo”.
Mark Lenders (ML)
00venerdì 10 ottobre 2014 00:58
Ho letto - in un giorno solo, l'ho letteralmente bevuto - "Dura solo un attimo, la gloria".
Credetemi, è un libro bellissimo. Come autobiografia sportiva regge benissimo il confronto con quella di Agassi che è un capolavoro nel suo genere.
Lo Zoff che si racconta è una persona profondissima con un punto di vista per nulla stereotipato e pienamente consapevole (a volte ai limiti della presunzione) di se stesso, della sua famiglia e dei suoi amici, della sua carriera, del calcio, dell'Italia che ha attraversato e dei personaggi che ha conosciuto.
Temo che vadano fatti i complimenti anche a chi lo ha aiutato a mettere su carta i suoi pensieri, e non indovinereste mai chi è. Trattasi di Marco Mensurati, amico d'infanzia del figlio di Dino. Sarà pure un romanista di merda, ma stavolta ha fatto un gran bel lavoro e bisogna dargliene atto.
NoSurrender
00venerdì 10 ottobre 2014 18:18
Ho visto l'intervista di presentazione da Fazio.
Grandissimo.
Lo leggerò.
boks xv
00venerdì 10 ottobre 2014 19:24
Re:
Mark Lenders (ML), 19/09/2014 18:58:

 Mi dicono che sono entrato nella Storia, che sono un monumento. Mi viene da ridere... La Storia è un’altra cosa, e i monumenti, quando non fanno una brutta fine per motivi politici, di solito finiscono per essere poco più che arredo urbano, habitat per piccioni, o cose del genere.



ah, mi ha letto quindi. 


p.s.
ma cita pure quella volta che, da Presidente, ricevette le lamentele di Fuser, Di Matteo e Winter che si lamentavano di Zeman che li faceva lavorare troppo e, anzichè cacciarli a calci in culo, gli disse di portare pazienza?
Mark Lenders (ML)
00venerdì 10 ottobre 2014 19:55
No [SM=g27985] Ti do qualche anteprima sul periodo laziale. Ma solo per farti incazzare, in realtà non è la parte più interessante del libro [SM=g27988]

Il club arrivava da un periodo, lunghissimo, colmo di cattivi ricordi e delusioni, l'ambiente era attraversato da istinti primordiali violentissimi e da un senso di perenne rivalsa nei confronti della Roma, l'altra squadra della città.

Nei primi due anni i problemi c'erano stati solo con gli ultrà. Prima che la società costruisse il centro di Formello ci allenavamo a Tor di Quinto, in città, e ogni giorno c'erano due-trecento ultrà (cala che vendi, n.d.M.L.) che ci contestavano, ci minacciavano, ci insultavano. Non c'erano motivi tecnici particolari per farlo, anzi, la squadra era risorta dalle ceneri. Però gli ultrà non hanno memoria (se è per questo, nemmeno tanto cervello).

[...] Dopo due anni, però, le cose si complicarono. Perché a quella degli ultrà si unì la critica "ufficiale", di stampa e di radio, che a Roma è potente da nessun'altra parte in giro per il mondo. Presero a chiamarmi "Mister X" perché la squadra pareggiava spesso. E non c'era giornale che non si lamentasse. La contestazione, per gli allenatori, è un po' una regola[...] però allora si stava superando il limite dell'accettabile e questo mi costringeva a guardarmi dentro. Sinceramente, pensavo e penso a tutt'oggi di essere stato un buon allenatore. Anche se non ho mai goduto davvero di grande considerazione, a volte a dispetto dei risultati. Mi dicevano che avevo uno stile "vecchio", da calcio ormai superato. Eppure, più analizzavo la mia carriera e più trovavo ingiusta la valutazione.

[...] La stampa si era innamorata, in quei mesi, di un bravo allenatore, Zdenek Zeman, che con una squadra piccola ma carica di talenti, il Foggia, stava facendo sfracelli.
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